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Breve storia del design italiano

Nello scorso articolo sulla storia dell’arredamento abbiamo visto l’evoluzione del mobile dall’epoca degli Antichi Greci fino alla Belle Époque, un periodo florido per lo sviluppo delle arti applicate e per quello che si potrebbe chiamare “proto-design”. In particolare l’armadio, l’oggetto di design che ci interessa di più, acquistò durante gli anni Settanta dell’Ottocento un’importante novità: la barra appendiabiti, incorporata per la prima volta nei guardaroba, a cui faranno seguito presto le grucce.

Già a partire dall’Ottocento si moltiplicarono gli stili di arredamento, cosa che ci ha portato in questa seconda parte a focalizzarci ad un certo punto sul design italiano. La molteplicità di tendenze che si svilupparono tra la fine dell’Ottocento e la prima parte del Novecento avevano comunque un aspetto in comune: la volontà di rompere con il passato e con lo storicismo, rifiutando l’eclettismo che aveva caratterizzato il XIX secolo.

Vediamo già questa presa di posizione nello Stile Liberty e nell’Art Déco (che approfondiremo a breve), nonché in arte nelle Avanguardie Storiche. Questo periodo venne caratterizzato anche da uno stretto rapporto tra le arti visive e il design: pensiamo al Bauhaus, a Gropius e Le Corbusier.

La nascita del design italiano

In questa seconda parte vedremo non solo le principali correnti artistiche del Novecento, ma anche come queste influenzarono il panorama italiano e l’arredamento Made in Italy. Ma quando cominciò a svilupparsi il design italiano, acquisendo fama in tutto il mondo?

 

acquario civico milano
L’Acquario Civico di Milano, l’unico edificio a non venire demolito dopo l’Esposizione Internazionale del 1906

 

L’Italia arrivò in ritardo rispetto al resto d’Europa, complice la lenta industrializzazione del paese (ad esclusione di alcune manifatture tessili e ceramiche del Nord Italia). Solamente negli anni ‘70 e ‘80 del XIX secolo il Nord cominciò ad industrializzarsi, fatto a cui si affiancò anche la fondazione di diverse scuole di arti applicate (il Politecnico di Milano nacque già nel 1863).

Questo può sembrare un punto debole del design italiano, ma in parte è anche una delle sue caratteristiche fondanti. La forte tradizione di alto artigianato che caratterizza l’Italia portò all’interno dell’imprenditoria una serie di dubbi sulla produzione in serie, cosa che portò il design in Italia a muoversi tra arte industriale e artigianato.

L’arredamento Liberty: il primo stile del Novecento

Tornando alla nostra storia dell’arredamento, iniziamo con quello che fu a tutti gli effetti il primo stile del Novecento: il Liberty, altrimenti detto Art Nouveau, diffuso già alla fine del secolo precedente. Il nome di questo movimento assunse diversi altri nomi a seconda dello Stato di appartenenza: in Italia era conosciuto anche come Stile Floreale o Arte Nuova, mentre invece in Germania lo ritroviamo come Jugendstil, in Austria come Sezessionstil e in Spagna come Arte Joven, per fare alcuni esempi.

Il fatto che in buona parte d’Europa il nome dell’Art Nouveau sottolinei proprio il carattere “nuovo” e “giovane” dello stile, è già sintomo di una delle sue caratteristiche più importanti: il rifiuto dell’eclettismo storicista, imperante nell’Ottocento.

Un altro fondamento del Liberty è la volontà di conciliare la lavorazione meccanica, figlia della rivoluzione industriale, e la componente estetica attraverso la produzione seriale di oggetti belli (almeno nella teoria: poi nella pratica i mobili Liberty furono essenzialmente pezzi unici). Il design (o forse si dovrebbe ancora parlare di “protodesign”) di questi oggetti si rifaceva al mondo naturale e aveva come elemento protagonista la linea, in grado di trovare nuove soluzioni al rapporto tra forma e movimento.

Nei mobili Art Nouveau troviamo decorazioni funzionali, che non hanno il solo scopo di ornare ma anche di strutturare la forma dell’oggetto. Vi fu un particolare interesse per i colori e le trasparenze, oltre che un gusto per le immagini vorticose.
Ma come si evolse questo stile in Italia?

Il Liberty nel design italiano

 

1902 esposizione torino
Alcune fotografie dell’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa moderna di Torino del 1902

 

In Italia fu il Liberty di matrice austriaco-tedesca ad influenzare lo Stile Floreale, non solo per il legame tra l’ex Regno Lombardo-Veneto e l’Impero Austriaco ma anche per il patto della Triplice Alleanza, stipulato nel 1882.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della Prima Guerra Mondiale, l’Italia fu interessata da un primo sviluppo industriale, che tuttavia non poteva essere paragonato a quello delle altre potenze europee. Anche la diffusione del Liberty ebbe i suoi limiti, nonostante esperienze positive come l’Esposizione di Torino del 1902, con un programma che recitava queste parole:

“Vorremmo che questa mostra organica di arredi non avesse soltanto di mira un aristocratico carattere di eleganza e di bellezza d’arte, ma anche e soprattutto una carattere pratico e industriale”.

 

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Un armadio dell’ebanista Eugenio Quarti. Fonte: notizie.dimanoinmano.it

 

Ovviamente non mancarono personalità italiane eccezionali, nell’ambito dell’Art Nouveau: basti pensare al lavoro di Eugenio Quarti, Vittorio Ducrot e di Ernesto Bas.

Fuoriuscendo per un attimo dal campo dell’arredamento, questo per il design italiano fu un periodo importante per il settore automobilistico e aeronautico. Nel 1899 venne fondata la FIAT, pochi anni dopo la Lancia (1908) e nel 1918 quella che sarebbe diventata l’Alfa Romeo. Inoltre nel 1916 Gianni Caproni costituì il consorzio Caproni-Fiat-Ansaldo.

Il 1908 fu anche l’anno di fondazione della Olivetti, che a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta sarebbe diventata una vera e propria azienda internazionale grazie alle famose macchine da scrivere.

 

fabbrica di mobili ducrot
Il reparto intaglio del legno della Fabbrica di mobili Ducrot a Palermo, nel 1927

L’Art Déco e la nascita dell’industrial design

Lo stile che maggiormente rappresenta gli anni Venti del Novecento fu l’Art Déco, erede della linea geometrica di Charles R. Mackintosh, uno dei maggiori esponenti dell’Art Nouveau del Regno Unito, diversa dalla linea organica che si era diffusa invece in paesi come la Francia. Fu probabilmente il primo stile “internazionale”, dato che ebbe successo sia in Europa che in America con l’arredo dei locali pubblici, delle sale cinematografiche, dei grattacieli e dei grandi alberghi.

Come già accennato, le forme Art Déco nacquero dalla stilizzazione geometrica e sono caratterizzate da quadrati, triangoli, cerchi e spirali, con una predilezione anche per i motivi a zig-zag e per la radialità.

L’Art Déco fu uno stile che non ebbe timore di utilizzare forti tonalità di colore, dai caldi rosso e giallo al viola e all’azzurro.

 

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Cassettiera Cabanel di Jacques Emile Ruhlmann, 1921-22. Fonte: meisterdrucke.it

 

Per quanto riguarda l’arredamento, i grandi armadi Déco tendevano a mimetizzarsi con la parete e a diventare un tutt’uno con il resto della stanza. Gli altri mobili contenitori erano caratterizzati da gambe alte e sottili, per staccare il corpo principale il più possibile dal pavimento.
Venivano impiegati legni pregiati ed esotici, accompagnati in alcuni casi da cuoio, avorio e intarsi polimaterici. Gli spigoli scomparvero, a favore di bombature e linee spezzate a tratti curve e a tratti rettilinee.
Invenzione di quest’epoca fu il mobile-bar, che poi divenne un unico pezzo insieme al mobile-radio.

Nello stesso periodo prese piede anche un’idea più consapevole dell’industrial design attraverso movimenti come il Bauhaus in Germania, il De Stijl nei Paesi Bassi e l’Esprit Nouveau in Francia, nonché la scuola scandinava di Alvar Aalto.
L’idea di arredo di design si consolidò a tal punto che, dopo la crisi del ‘29, le classi agiate compravano non artigianato di lusso, ma design di lusso.

Vennero introdotti materiali nuovi come il tubolare metallico, il lamierino, il cemento e le fibre sintetiche, mentre invece le decorazioni vennero abolite: nell’ottica dell’industrial design, il mobile aveva lo scopo di assolvere ad un compito ben preciso, quindi qualsiasi orpello veniva considerato obsoleto (per citare Le Corbusier: “La casa è una macchina per abitare”). Vi era comunque un’importante componente estetica, da ritrovare nell’uso dei colori, nelle proporzioni degli elementi e, a volte, nella coesistenza di più materiali.

 

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I Casiers Standard di Le Corbusier e Charlotte Perriand. Fonte: tekno24.it

 

La rivoluzione dell’industrial design fu una nuova concezione di arredamento che prevedeva contenitori modulari e componibili, come i Casiers Standard di Le Corbusier e Charlotte Perriand. Nacquero inoltre i primi mobili metallici pensati per l’arredo domestico (prima venivano usati solamente negli uffici), punto di riferimento ancora oggi per il design contemporaneo: basti pensare a collezioni come Metallica, che usa materiali come acciaio satinato, cromato, bronzo e oro per i propri armadi in metallo di pregio.

Art Déco e Stile Novecento in Italia

Durante gli anni Venti, in Italia la produzione di mobili risultava piuttosto varia. Per comprendere meglio il periodo storico, si può prendere da esempio la I Biennale delle Arti Decorative di Monza del 1923, in cui si poteva ammirare le opere futuriste di Fortunato Depero, arredamento Liberty e anche prodotti Art Déco, stile che in Italia venne interpretato come una sintesi tra Art Nouveau, Neoclassicismo Milanese (caratterizzato da una produzione di mobili di lusso) e Stile Novecento, che Vittorio Gregotti successivamente commenta con queste parole:

“Per la borghesia resa più sicura dal fascismo si allestisce un nuovo stile: il ‘900. Accanto alla camera da letto in Luigi XV, accanto allo studio in stile rinascimento, al salone in stile impero, ecco, magari dopo aver gettato gli ormai sorpassati mobili liberty, il salotto in stile ‘900”.

 

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Armadio di Tomaso Buzzi, 1930. Fonte: 1stdibs.com

 

Con la III e la IV Biennale venne confermato il successo dello Stile Novecento. In occasione della V edizione del 1933 (che, dopo essersi spostata nel nuovo Palazzo dell’Arte di Milano, diventò Triennale), però, i due architetti Gio Ponti ed Emilio Lancia presentarono un progetto in controtendenza: Domus Nova, un arredamento formato da mobili economici, semplici e funzionali che aveva lo scopo di cambiare la casa della media borghesia.

 

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Cassettiera con specchio di Domus Nova, disegnata da Gio Ponti ed Emilio Lancia nel 1928-32. Fonte: capitoliumart.it

 

Sempre rimanendo in epoca fascista, acquistò valore (soprattutto nell’arredo per l’ufficio, gli edifici pubblici e le Case del Fascio) il mobile metallico. Nonostante il successo del tubolare d’acciaio cromato, però, il costo di realizzazione era ancora troppo alto per una maggior diffusione: un mobile in metallo, infatti, costava il doppio di uno in legno.

L’avanguardia in Italia: il Futurismo

Fino ad ora abbiamo tralasciato un movimento che merita un paragrafo a parte: il Futurismo, avanguardia prettamente italiana che voleva a tutti i costi rinnovare la cultura, rifiutando il passato e guardando al futuro. Fu un movimento totale, che riguardava non solo l’arte e l’interior design italiano ma ogni aspetto della vita quotidiana.

Nel 1915, i futuristi Giacomo Balla e Fortunato Depero pubblicarono il manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo, che comprendeva anche il rinnovamento dell’arredo. Balla, vero e proprio protodesigner, progettò la propria abitazione di Roma con colori particolarmente accesi e mobili facili e veloci da costruire: la velocità per il Futurismo era tutto, anche nell’arredamento.

 

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Credenza Giacomo Balla 1918. Fonte: futur-ism.it

Gli anni Cinquanta del design italiano

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia e il resto dell’Europa vennero sostenuti dagli aiuti economici degli Stati Uniti destinati alla ricostruzione. Lo stile di vita americano divenne il modello di riferimento per la cultura occidentale. Fu però anche il periodo che vide la nascita del Made in Italy e dell’Italian Style, ufficialmente nel 1947 con la VIII Triennale di Milano: il design italiano cominciò a diventare un punto di riferimento per tutto il mondo. Inoltre nel 1954 venne istituito il Premio Compasso d’Oro, il più antico dedicato al design.

Il numero 48 della rivista Domus scriveva, nel 1952:

“È il momento del disegno industriale, per il gusto, per l’estetica della produzione, lo è per la cultura e per la tecnica; lo è per la civiltà e per il costume; lo è soprattutto per la nostra Italia, la cui materia prima, la cui vocazione è sempre stata (e meravigliosamente, e sempre sarà per grazia divina) quella di – ci si perdoni l’espressione vecchio stile – ‘creare il bello'”.

Negli anni Cinquanta cominciarono a definirsi gli aspetti positivi e negativi tipici del design italiano: la mancanza di uno stile unitario, la ricchezza del dibattito critico, la convivenza/tensione tra industria e artigianato, nonché il suo carattere elitario (anche se possiamo considerare la Vespa del 1945, la Lambretta del 1947 e la Fiat 500 del 1957 manifestazioni della versione “povera” del design italiano). I designer italiani seguivano due forti tendenze: l’“orgoglio della modestia” e il “lusso necessario”.

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Armadio con porte scorrevoli di Vittorio Dassi, anni Cinquanta. Fonte: intondo.com

Testimoni del “lusso necessario” furono i mobili di Vittorio Dassi, realizzati negli anni Quaranta e Cinquanta, caratterizzati da una selezione di legni pregiati (ciliegio, noce, palissandro e frassino), pannelli intarsiati e cristalli di lusso.
Un altro esempio è Azucena, marchio di arredamento fondato nel 1947 che reinterpretò l’arredamento di lusso con l’accostamento di materiali nuovi e tradizionali. Uno dei fondamenti dei mobili Azucena era la ricerca della luminosità, attraverso lacche, trasparenze, ottone cromato lucido, finiture e colori. Lo scopo era produrre un tipo di arredamento timeless, resistente alle mode (una missione comune a Cosy International).

 

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Mobile di Luigi Caccia Dominioni per Azucena degli anni 70. Fonte: dimanoinmano.it

I nuovi materiali degli anni Sessanta

Durante gli anni Sessanta il design italiano raggiunse la sua piena maturità. Nel furniture design vennero utilizzati nuovi materiali, tra cui le plastiche e il poliuretano, che permisero finalmente una produzione industriale degli oggetti. In particolare le plastiche divennero il nuovo materiale di riferimento, non solo per i vantaggi tecnici ma anche per quello che rappresentavano: uguaglianza, democrazia, libertà.

Tra i tantissimo designer attivi ricordiamo il visionario Joe Colombo, che sfruttò questi nuovi materiali per migliorare il comfort degli italiani durante gli anni Sessanta e Settanta. Ad esempio, nel 1964 propose l’armadio multifunzionale Personal Container, che aveva lo scopo di ridurre l’ingombro del mobile e massimizzare la sua funzione di storage: poteva essere usato per l’abbigliamento, ma comprendeva anche un giradischi, una radio, una libreria, un posacenere e una serie di armadietti utili.

 

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Personal Container di Joe Colombo, 1964. Fonte: sbandiu.com

Anti-Design e Contro-Design: lo stile Radical

A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta si respirava un clima di protesta e di contestazione. Questo si ritrovò anche nel mondo del design italiano. Gli spazi stavano cambiando: la sala da pranzo e il soggiorno si fusero, le poltrone diventarono più confortevoli (in funzione del tempo passato davanti alla tv) e una nuova ironia si diffuse tra molti giovani autori che, sentendosi esclusi dalla corrente razionalista e dall’Italian Style di quegli anni, si riunirono in diversi studi per proporre progetti all’avanguardia: ritroviamo Archizoom e Superstudio (1966), Ufo (1967), 9999 (1968) e Alchimia (1976).

 

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La serie Misura di Superstudio del 1972. Fonte: domusweb.it

 

Le attività di questi giovani designer vennero raggruppati sotto il termine Radical Design in occasione della XIV Triennale di Milano del 1968. Il Radical Design contestò in modo ironico il product design dell’epoca rispondendo con il contro-design, caratterizzato da mobili impossibili e da riferimenti alla corrente Dada.

 

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Cella abitativa progettata da Joe Colombo per Bayer, 1969. Fonte: eclecticlivinghome.wordpress.com

 

Il 1972 fu inoltre l’anno di una mostra che consacrò ulteriormente il design italiano: Italy: The New Domestic Landscape, organizzata al MoMa di New York.

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La mostra dedicata al design italiano al MoMa, con una sezione dedicata agli oggetti. Fonte: artuu.it

Nuove icone del design italiano

Gli anni Ottanta furono il decennio in cui tutto sembrava possibile, sia nella vita di tutti i giorni che nell’arte e nel design. Fu il periodo d’oro di realtà come Memphis Group, fondato nel 1981 da Ettore Sottsass, e l’azienda Alessi, che esisteva già dal 1921, ma in quegli anni si distinse per il nuovo marchio Officina Alessi e per la produzione di prodotti sperimentali in edizioni limitate, come quelli realizzati dal Compasso d’Oro Stefano Giovannoni.

 

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Armadio Pacific di Michele De Lucchi per Memphis, 1981. Fonte: memphis-milano.com

 

In seguito alla crisi energetica del 1979, il triangolo industriale Torino-Milano-Genova non fu più il solo protagonista della scena italiana: a questo si unirono altre interessanti realtà della Toscana, delle Marche e dell’Italia nord-orientale, che seppero unire progetti moderni e tradizione artigianale. Al buon prodotto si aggiunse una spettacolarizzazione dell’immagine aziendale, basti pensare al lavoro di Oliviero Toscani per Benetton.

Nel frattempo le aziende italiane si aprirono alla collaborazione con designer internazionali, che vivacizzarono la scena con nuovi spunti ed influenze: un esempio è il coinvolgimento del designer parigino Philippe Starck da parte di realtà come Kartell, Flos e Driade.

 

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Théâtre du Monde di Philippe Starck, 1984. Fonte: drouot.com

Il nuovo millennio del design italiano

Nel corso di questi ultimi decenni, la crescita esponenziale del numero di designer, docenti e studenti di design in Italia testimonia l’importanza sempre maggiore di questa disciplina nel panorama culturale e industriale. Il design non è più una professione di élite, ma si è diffusa ampiamente su tutto il territorio nazionale, promuovendo una varietà di stili e approcci. Questa complessità crescente rende difficile identificare tendenze stilistiche dominanti.

Oggi il design italiano si estende a ogni tipo di prodotto, dall’arredamento alle attrezzature di servizio per enti pubblici e privati, dalla progettazione di centri di vendita a quella di spazi virtuali.

Una delle caratteristiche distintive del design italiano continua ad essere la coesistenza di materiali diversi, evidenziata soprattutto nel settore del mobile. Gli oggetti industriali progettati in Italia sfruttano una vasta gamma di materie prime, dando vita a creazioni polimateriche e innovative.

 

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Cosy International, collezione Metallica

 

La pandemia di Covid-19 ha influenzato ulteriormente il design italiano, portando a un aumento della richiesta di soluzioni su misura e di spazi ben organizzati all’interno delle case. Le cabine armadio su misura, piccole o grandi, sono diventate una tendenza sempre più evidente, rispondendo al bisogno di ottimizzare lo spazio e creare ambienti confortevoli ed esteticamente piacevoli.

In conclusione, il design italiano del XXI secolo si distingue per la sua capacità di abbracciare molteplici settori e di adattarsi alle esigenze mutevoli della società moderna. I designer italiani continuano a innovare, cercando di coniugare funzionalità ed estetica per creare prodotti e ambienti che riflettono l’identità e le aspirazioni delle persone.

 

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Cosy International, collezione Butterfly

La storia del design italiano continua…

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